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Autolesionismo e giovani adolescenti: il cutting

Il cutting come espressione del disagio, della sofferenza e della solitudine in adolescenza.

Il cutting: procurarsi dolore fisico spostando sul corpo una sofferenza interna.

Sono giovanissimi quelli che lacerano, lesionano ed attaccano parti del proprio corpo, di solito braccia o gambe. La forma di autolesionismo più frequente è il cutting, tagliarsi, provocarsi lacerazioni utilizzando lamette, coltelli, vetri e oggetti appuntiti e taglienti i cui segni sono spesso nascosti dietro maniche lunghe o file di braccialetti.

I tagli non sono fatti con intento suicidario ma per farsi male, per attaccare il corpo, procurarsi un dolore fisico; si sposta sul corpo una sofferenza interna che non trova altra espressione e gestione. 

Alcuni dati sull’autolesionismo

I dati Osservatorio Nazionale Adolescenza mettono in luce due aspetti preoccupanti: quasi il 12% degli adolescenti scarica il proprio dolore e la propria sofferenza sul corpo in maniera sistematica a ripetitiva, dato che vede un aumento del 2,5% in un solo anno; l’età media in cui i ragazzi iniziano a praticare autolesionismo è pari a 12,8 anni 

Secondo i dati Istat, in adolescenza la tendenza al suicidio è in calo, mentre il fenomeno dell’autolesionismo cresce tra i ragazzi, dove sembra riguardare il 20% circa dei ragazzi. In Europa emerge che il 27,6%, degli adolescenti, con una età media 14 anni, mette in atto comportamenti autolesivi occasionali o ripetuti nel tempo, come ben evidenziato in uno studio internazionale, pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Child Psychology and Psychiatry.

Perché gli adolescenti si tagliano?

È fondamentale sottolineare come sia errato pensare che i ragazzi mettano in atto sistematicamente atti di autolesionismo lo facciano per attirare l’attenzione. Gli adolescenti non si tagliano per attirare l’attenzione.

Il disagio, la sofferenza la solitudine vengono espressi e tirati fuori attraverso agiti, “acting out”, che vanno letti come difficoltà nel pensiero e nelle parole di questi ragazzi nei confronti di qualcosa che non è assimilabile e nello stesso tempo è un modo per sentirsi, riappropriarsi di se stessi. 

L’azione, l’acting out diventa parola, modo di esprimere e condividere la propria sofferenza. Il cutting, il taglio, non è solo farsi male fisicamente, ma è un modo di regolarsi, di gestire una sofferenza interna, di scaricare impulsi irrefrenabili che si fatica a controllare, spostare sul corpo un dolore interno che in questo modo diventa reale, affrontabile, visibile. Lo spostamento sul corpo diventa un tentativo di ancoraggio di fronte ad un vuoto interno intollerabile, dove la pelle diventa veicolo, strumento per esprimere contenuti interni, dare parola. Mancano altri mezzi per esprimere e comunicare ansia, una sofferenza e disagio interno che gli adolescenti vivono e respirano.

L’autolesionismo ed il mondo virtuale

Il mondo virtuale sembra essere un luogo in cui è possibile per gli adolescenti dare parola e condividere il loro dolore e la loro sofferenza, il virtuale come luogo nel quale trovare riparo e rifugiarsi. Una ricerca condotta su un campione di circa 60 adolescenti, pubblicata su eClinical Medicine rivela che spesso chi ricorre all’autolesionismo ha una interpretazione di ciò che accade particolarmente pessimistica, ritenendo di essere poco stimato dalle altre persone, anche se in realtà non è così.    

Il virtuale può diventare un rifugio. I ragazzi condividono immagini, video, foto sui diversi social dove si sentono liberi di mostrare le proprie ferite, le proprie emozioni e renderle pubbliche. Un virtuale che non deve manifestarsi, però, in isolamento sociale.

Dai social sembra si stia passando allo scambio di queste immagini anche nelle varie chat di gruppo, come accaduto qualche tempo fa in una scuola media a Cosenza dove alcuni ragazzi tra 12 e 14 anni si sono procurati varie ferite ed hanno postato le foto sui social e nel gruppo whatsapp della classe. Il mondo virtuale può rappresentare un rifugio, un luogo protetto per questi ragazzi, un luogo dove poter condividere aspetti privati, ma può anche diventare un luogo di rinforzo, esaltazione o emulazione di comportamenti autolesivi.

Autolesionismo e mondo reale

Se l’agito, il taglio diventa espressione e parola, allora bisogna parlare, mettere in parola, creare luoghi e spazi reali per creare consapevolezza, affinchè la depressione e sofferenza possa non essere agita sul corpo.

Passare dal mondo virtuale al mondo reale significa offrire luoghi e spazi per creare consapevolezza e comprendere la sofferenza che si cela dietro questi gesti. Genitori ed educatori possono fare la differenza nel leggere i segni e segnali in maniera accurata ed intervenire nel modo più efficace.

Dare parola, dare spazio, dare posto. Dare parola, dare spazio, dare posto a questi ragazzi ogni giorno, inserendoli in una cornice di senso e significato. Ed anche per riuscire a valutare le possibili evenienze o necessità di un sostegno psicologico per supportare ed aiutare l’adolescente in questo percorso di sviluppo di sé.

Se pensi di aver bisogno di supporto per te o un familiare che mette in azione atti di autolesionismo puoi scrivermi o contattarmi telefonicamente per un consulto.

Riferimenti

  • Osservatorio Nazionale Adolescenza

© Psicoterapeuta e psicologa Jessica Ferrigno