Dipendenza affettiva e relazioni tossiche

Le radici della dipendenza affettiva: la storia di attaccamento

Come riscoprire il proprio spazio e costruire relazioni più equilibrate.

Cosa è la dipendenza affettiva?

Attualmente la dipendenza affettiva, nella quale l’individuo dedica completamente il suo corpo, la sua anima e la sua psiche al partner, non è ancora classificata nei sistemi diagnostici, tuttavia è a tutti gli effetti una dipendenza. Dipendenza che nello specifico si rivolge ad una persona  alla quale il/la dipendente attinge per riempire il proprio vuoto affettivo ed esistenziale. L’elemento centrale e ricorrente in questa forma di addiction è il circolo vizioso in cui la persona arriva a soffocare, negare e rinunciare ai propri bisogni pur di non perdere l’altro.

La dipendenza affettiva è una modalità patologica di vivere le relazioni. In altre parole la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni ed a rinunciare ai propri spazi per non perdere il partner. Quest’ultimo diventa unica e sola ragione di vita, fonte di gratificazione e di amore. 

È proprio la tendenza a mettere i propri bisogni e desideri in secondo piano, rispetto a quelli dell’altro, ciò che contraddistingue queste forme di relazione patologica (Pugliese, Saliani, Mancini, 2019). In presenza di dipendenza affettiva la soddisfazione dei bisogni fondamentali e delle spinte evolutive della persona viene meno, pur di mantenere la relazione patologica.

In questo senso, l’altro, il partner diventa il protagonista assoluto della vita della persona dipendente. Il partner diventa quindi l’oggetto che soddisfa e riempie ogni esigenza, perno attorno al quale gira l’esistenza.

Storia di attaccamento

Le radici della dipendenza affettiva affondano il proprio terreno nell’infanzia e nella storia di vita della persona che soffre di questo disturbo. I diversi eventi difficili e le esperienze dolorose all’interno della famiglia di origine hanno richiesto al bambino di aiutare, alleggerire, proteggere, accudire o far fronte alle problematiche familiari in cui era inserito. 

Queste radici affondano, in particolare, nella storia dei propri legami di attaccamento. I genitori problematici o sofferenti – e quindi non sintonizzati sui bisogni del figlio – lasciano insoddisfatti i bisogni del piccolo costringendolo ad adattarsi ai loro bisogni.

Chi soffre di dipendenza affettiva è una persona che nella propria infanzia non è stata adeguatamente curata e nutrita a livello affettivo. Per questo motivo ha imparato a guadagnarsi e meritarsi l’affetto e l’amore delle persone di riferimento, facendo i “bravi” bambini. In questo modo ha appreso a non pesare sugli altri, non disturbare con i propri bisogni, non chiedere attenzioni ed aiuto.

Sono stati bambini invisibili in una famiglia poco sintonizzata o che doveva affrontare diversi problemi. Si tratta di bambini che hanno  imparato a non “disturbare” con i propri bisogni e necessità emotivi, a non portare fragilità e assicurandosi il legame con l’altro attraverso l’adesione alle sue aspettative. “Per essere amato non devo esprimere i miei bisogni e stati interni, ma soddisfare i bisogni e le aspettative dell’altro, accudendolo e facendolo stare bene”.

Appare particolarmente calzante il termine “malnutrizione emotiva” per spiegare come questi bimbi siano stati poco nutriti emotivamente, la trascuratezza e le radici che portano allo sviluppo di questa sofferenza che tanto spesso noi clinici riscontriamo nella nostra attività terapeutica. A partire dalla storia di attaccamento con i propri genitori ( o caregiver) questi bambini apprendono che l’amore va meritato facendo stare bene l’altro, mettendo da parte i propri bisogni.

Le radici della dipendenza: delegare all’esterno la soluzione di bisogni interni

L’esito del diventare bravi bambini soddisfacendo i bisogni degli altri è che i bisogni e la sofferenza personale vengono intorpiditi e, di conseguenza, divengono difficili da riconoscere sia da se stessi e tanto meno dagli altri. Le emozioni negative, cioè quelle non compiacenti, come rabbia, paura, angoscia, ansia vengono represse, e questo aspetto contribuisce allo sviluppo di due importanti ripercussioni.

  1. Scarsa reattività riguardo al proprio mondo interno che si impara a non ascoltare ed a trascurare. Il mondo interno viene trascurato e negato.
  2. Grande reattività per il mondo esterno: si impara a conformarsi all’altro e all’esterno per mantenere la propria autostima.

In altri termini, questi bambini invisibili si strutturano attorno alla credenza di dover capire e soddisfare i bisogni degli altri, senza stare sui propri. Da qui sviluppano: 

  • grande capacità di leggere i bisogni degli altri;
  • scarsa capacità di comprendere i propri bisogni.

A partire dai legami di attaccamento nessuno ha accompagnato ed aiutato questi bambini a capire quali fossero i propri bisogni, impedendone lo sviluppo e un’ autonomia emotiva, contribuendo ad una profonda solitudine interiore: il vuoto d’amore che da adulti cercano di riempire con dipendenze e comportamenti additivi.

Dipendenza affettiva e deficit di autoregolazione

Il partner, come la cocaina o il cibo, diventando oggetti che riempiono il vuoto, dando piacere ed evitando la sofferenza. La dipendenza vede come nucleo profondo il delegare ad un oggetto o una persona esterni la soluzione dei propri bisogni interni. A partire dalla scarsa sintonizzazione delle figure di attaccamento a sintonizzarsi sui bisogni del figlio, futuro dipendente, questo imparerà a sintonizzarsi sull’esterno, sui bisogni sull’altro per capire cosa prova e per muoversi nel mondo (Stern, 1985). Per muoverci nel mondo ci sintonizziamo su oggetti esterni (cocaina, cibo, sessualità).

Questa scarsa sintonizzazione dei genitori sul figlio ha come esito il deficit autoregolazione (Taylor, Bagby e Parker, 1997): la compromissione della capacità di regolare le proprie emozioni dove, per regolare il mio mondo interno e le mie emozioni faccio riferimento all’altro, all’esterno. La regolazione emotiva è spostata totalmente sull’esterno e sull’altro, è spostata verso il mondo interpersonale piuttosto che sull’intrapsichico.

A partire da questo deficit di autoregolazione la persona non riesce a regolare le proprie emozioni dall’interno e quindi ricorre ad oggetti esterni: il partner, come la cocaina, il gioco, il sesso diventano l’oggetto esterno utile a regolare il proprio stato emotivo interno difficile da gestire.

Il partner come oggetto additivo esterno

Nella dipendenza affettiva il partner diventa l’oggetto additivo esterno: ho bisogno dell’esterno per sentire che la mia esistenza ha un senso, ho bisogno del partner per riempire il mio vuoto d’amore, per non sentire la solitudine, per sentire di avere valore. Il partner, come l’eroina o l’alcol, diventa il perno attraverso cui far ruotare l’autoregolazione dei propri stati emotivi e delle proprie mappe cognitive e relazionali. L’oggetto della dipendenza diventa perno e bussola che ci guida nel mondo.

Nella caoticità e complessità della dipendenza affettiva, la ricerca di emozioni forti (legate all’innamoramento, la scarica di dopamina, la sessualità) ed il coinvolgimento nella vita caotica del partner consentono lo spostamento dell’emotività e della affettività sull’esterno consentendo, così, alla persona di sottrarsi da stati interni non gestibili.

L’amore interiore

A partire delle dinamiche relazionali disfunzionali di attaccamento appena delineate il bambino sviluppa posizioni protettive nei confronti dei genitori conducendo all’interiorizzazione di un particolare modello di amore che poi riproporranno nelle relazioni future: questi bambini imparano che l’amore è sacrificarsi, annullarsi per l’altro, adeguarsi alle sue richieste senza tener conto dei propri bisogni od istanze emotive, a legarsi a partner per compiacerli.

L’amore non è interiorizzato come qualcosa di incondizionato, che ognuno ha diritto di ricevere senza dover fare nulla di particolare a parte portare autenticamente se stessi nel mondo delle relazioni, ma elaborato come qualcosa che va conquistato compiendo azioni che gratificano l’altro. Questo è il modello di amore interiore appreso: l’amore va meritato e guadagnato col sacrificio.

Se nel corso dello sviluppo questo bambino non vivrà qualche esperienza emotiva correttiva che potrà nutrirlo di amore incondizionato, che lo accompagni a trovare un modo più corretto di stare in relazione e che permetta di alimentarsi a livello emotivo, potrà generarsi un profondo vuoto d’amore, una fame d’amore che guiderà le scelte affettive (M.C. Gritti, 2018).

Il vuoto affettivo e la malnutrizione

Il vuoto affettivo e la fame d’amore possono allora condurre questo bambino, in età adulta, a stringere legami e relazioni affettive dove si delega al partner la responsabilità di riempire e di saziare emotivamente quel vuoto e quella fame, rendendosi dipendente al punto da riprodurre un rapporto simile a quello che il bambino instaura nei primi mesi di vita con le proprie figure di attaccamento (Liotti, Monticelli 2014) o il rapporto fusionale che il tossicodipendente attua con la sostanza stupefacente.

Una tale dinamica di attaccamento generata da una trascuratezza e malnutrizione emotiva nell’infanzia genera un modello di relazione e legame fondato su premesse inadeguate che ci guiderà nel muoverci nel mondo affettivo, cioè l’aspettativa che l’altro significativo possa colmare i nostri atavici buchi emotivi e la nostra fame, affidando all’altro la responsabilità della propria sicurezza e felicità.

Chi, invece, arriva da una storia di attaccamento sicuro:

  • comunica in modo efficace nelle relazioni
  • risolve i conflitti interpersonali in maniera appropriata
  • si sente soddisfatto ed impegnato nelle relazioni
  • discute di esperienze dolorose in modo adeguato
  • regola le proprie emozioni in modo efficace
  • risulta meno vulnerabile allo sviluppo di sintomi psicopatologici e cattiva salute fisica.

( Gillath et al, 2016; Mikulincer, Shaver 2016)

Aver ricevuto supporto nelle prime relazioni affettive di attaccamento sembra essere una delle ragioni per cui le persone mostrano sicurezza nelle proprie relazioni affettive. (G. Attili 2007)

Conclusioni

Nelle relazioni d’amore (ma anche in quelle amicali o lavorative) deve esistere una importante linea di confine. Ovvero il confine tra se stessi e l’altro, che permette di trovare mediazioni e compromessi nelle dinamiche di coppia, senza perdere di vista se stessi, senza compiacere, spesso fondersi e perdere forma, adeguarsi a fare qualunque cosa pur di non perdere la relazione con l’altro.

Non rispettare e valicare quel confine non significa affatto amare ma equivale a tradire e perdere se stessi!

L’amore non va guadagnato mettendosi a disposizione, accudendo o realizzando ciò che l’altro si aspetta da noi. L’amore passa dal legarsi all’altro come le fedi nell’immagine del matrimonio. Poter essere autenticamente se stessi, accettare l’altro per quello che è, amare e al sentirsi amati per quelli che siamo con le nostre risorse, le nostre vulnerabilità, le luci e le ombre. 

Se vuoi curare la tua dipendenza per vivere pienamente la tua vita o senti di voler approfondire il tema, puoi scrivermi o contattarmi telefonicamente.

Riferimenti

  • Bowlby J., (1969) Attaccamento e Perdita: Vol 1. L’attaccamento alla madre. Torino: Boringhieri (1972)
  • Borgioni, Massimo (2015). Dipendenza e contro-dipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all’indifferenza vuota. Roma, Alpes.
  • Erica Pugliese, Angelo Maria Saliani, Francesco Mancini (2019): Un modello cognitivo delle dipendenze affettive patologiche. In: Psicobiettivo, 1 , pp. 43-58, 2019.4
  • M. C. Gritti Dipendiamo: un Trattamento Sistemico di Gruppo per la Cura della Dipendenza Affettiva, in Rivista Terapia Familiare volume 117 2018
  • Mikulincer M., Shaver P.R., Horesh N., (2006) Attachment bases of emotional regulation and posttraumatic adjustment in D.K. Snyder J. Simpson, J.N. Huges Emotion regulation in couples and families: American Psychological Association, Washington, pp77-99.
  • W. Mascetti in Bara B.G., Nuovo manuale di psicoterapia cognitiva, Bollati Boringhieri, Torino, 2005.

© Psicoterapeuta e psicologa Jessica Ferrigno